Care amiche, cari amici

il tweet di ieri ha sollevato un vespaio, per questo sentiamo il bisogno di scrivervi – stavolta senza il limite dei 140 caratteri – per spiegarci meglio. È un desiderio di chiarezza che dobbiamo a noi stessi, a chi conosce Teodora Film e la segue da tanto tempo, a chi pur conoscendola non si è riconosciuto nel messaggio di ieri, ma soprattutto a chi – legittimamente – non ne sa nulla.

Per sgombrare il campo (ma non per rinfocolare la polemica) cominciamo col dire ciò che questo messaggio NON è: non è una lettera di scuse. Come molti hanno sottolineato, 120 Battiti Al Minuto è un film orgogliosamente militante, uno sguardo dall’interno sul movimento di Act Up Paris. Ci sembrano due punti importanti: perché noi quella militanza l’abbiamo sposata, acquistando il film e riversando sulla sua uscita un investimento emotivo forse senza precedenti nella nostra storia. I due fondatori di Teodora sono, infatti, gay: “Cosa c’entra?“, diranno i più critici… c’entra proprio per questo: mai come stavolta la distribuzione di un film, anche al di là delle sue qualità estetiche (per noi 120 Battiti Al Minuto è un film bellissimo, sia chiaro), ci è sembrato fosse un atto politico. Lo sguardo del regista su Act Up è anche il nostro su un capitolo della nostra storia. Che è – a rischio di sembrarvi retorici – un capitolo insieme esaltante e doloroso, fatto di battaglie vinte e di persone che non ci sono più, di gente che ha combattuto anche per chi allora era distratto, o non c’era ancora. Per la comunità, insomma, e noi ci sentiamo parte della comunità LGBT italiana: ed è proprio in virtù di questa appartenenza che a volte ci sentiamo in diritto di criticarla, di criticarci. Dall’interno, appunto: come accade da sempre nella vita politica, magari quando si perde alle elezioni, o al referendum, per “colpa” di qualche astenuto di troppo. Ma che c’entra la politica con il cinema? In fondo stiamo solo parlando di un film: ecco, no. Stavolta, per noi, non era – non è – solo un film: stavolta, come membri della comunità LGBT, crediamo che vedere 120 Battiti Al Minuto sia (anche) un atto politico, di riappropriazione di una pagina importante della nostra Storia collettiva, che ci ha permesso di essere ciò che siamo oggi.

Questo non vuol dire, come è stato obiettato da alcuni, ghettizzare il film: siamo felici che tanti eterosessuali lo stiano vedendo, da una parte perché crediamo che il grado di civiltà di una società si misuri anche dalla condivisione delle tragedie altrui, e dall’altra perché l’Aids non è una tragica esclusiva del mondo omosessuale, come per tanto tempo si è cercato di far credere all’opinione pubblica. Questo però non ci deve far dimenticare che, complice il silenzio e il disinteresse di troppi, il debito di sangue pagato all’Aids dalla comunità LGBT è stato a lungo il più alto. Per questo immaginavamo un’attenzione “speciale”, non certo perché pensiamo che l’Aids riguardi soltanto noi.

Molti ci hanno rimproverato in particolare quella frase, “Ve lo meritate Adinolfi”, che voleva essere in primis un calco del celebre – e all’epoca contestato – “Te lo meriti Alberto Sordi” di Nanni Moretti. Ci dispiace che l’impersonalità di Twitter non abbia permesso di cogliere la sfumatura ironica. Su una cosa, però, non vogliamo che passi neanche l’ombra dell’ironia: nessuno, qui, si è mai sognato di augurare attacchi omofobi o discriminazioni a chicchessia. Anche qui, però, ci sembra che si siano tirate le somme troppo frettolosamente: quante volte, nei decenni scorsi, abbiamo sentito uomini politici, intellettuali, comuni cittadini, lasciarsi andare ad un sonoro, liberatorio, “e allora ve lo meritate (aggiungete voi chi preferite: Berlusconi, Monti, D’Alema)”. È una formula volutamente provocatoria, da dibattito politico, che tira in ballo di volta in volta “l’avversario” di turno: caricarla di significati che da politici (“secondo noi, in quanto membri della comunità LGBT, sarebbe stato politicamente importante che una fetta molto più numerosa della comunità vedesse il film“) diventano personali (“ciascuno dei gay che non ha visto il film si merita l’attacco dell’Adinolfi di turno“) non rispecchia in alcun modo il nostro pensiero.

Molto si è detto anche sulle “carenze” della distribuzione: per quanto sia il nostro lavoro è l’aspetto che ci importa meno, perché è quello di cui – più che legittimamente – ognuno ha il diritto di sapere poco o niente e non è questo né il luogo né il momento per approfondire dinamiche complesse. Capiamo bene il dispiacere di chi avrebbe voluto vedere il film e non l’ha trovato nella propria zona. Nessuno qui pretende lo sforzo di fare 100km in auto per vedere un film. Era, è e sarà nostra cura cercare di portare 120 Battiti Al Minuto nel maggior numero di città possibili. Soltanto ci dispiace che nelle città più “fortunate” (dove il film era in programma anche in 3 o 4 sale, come Roma e Milano) la Comunità non abbia risposto con l’adesione che ci aspettavamo e non per gli “incassi” – come qualcuno ha sottolineato – ma per un senso di “appartenenza” che ci sembra sia venuto completamente a mancare e nel quale crediamo profondamente. Chi ci conosce e conosce il nostro lavoro, la nostra storia, sa che abbiamo sempre e soprattutto agito per passione, più che per interesse economico. Oggi, per questo film, più che mai.

Per finire, qualche ringraziamento: qualcuno ci ha rimproverato di non aver usato i social “prima”, quando dovevamo promuovere il film, e invece vogliamo dire grazie a tutti i blogger e le Associazioni che hanno risposto con entusiasmo ai nostri inviti, regalandoci post, recensioni, interventi, persino fumetti. E un grazie anche a chi si è “incazzato” per il tweet di ieri, spronandoci ad argomentare meglio il nostro pensiero. Non pretendiamo certo che adesso sia condiviso da tutti: ma speriamo, questo sì, di aver fugato il dubbio che dietro a quell’intervento – magari “incauto” e molto impulsivo – si nascondesse un malriuscito colpo di marketing: non è mai stata la nostra intenzione. Chi ha visto 120 Battiti Al Minuto capirà di cosa stiamo parlando: non sempre, anche allora, le “azioni” contavano su un consenso unanime. Ci si scontrava, si litigava, ci si toglieva il saluto. Ci piace pensare che stavolta sia successa la stessa cosa: che tutti, noi e voi, siamo ancora capaci di prendere posizione, di incazzarci, di intervenire e di avere anche e soprattutto il diritto a opinioni e atteggiamenti diversi, non condivisi. Di dimostrare che no, Adinolfi non ce lo meritiamo.

Teodora Film

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