Vedendo Allied – Un’ombra nascosta non poteva non tornare in mente un vecchio insegnamento, o massima, di Billy Wilder: “Si può sempre fare un brutto film da una buona sceneggiatura, ma mai un bel film da una brutta sceneggiatura”. Se di questa  amara ma utile verità si fosse ricordato anche Robert Zemeckis si sarebbe, e ci avrebbe, risparmiato uno dei più malinconici exploit degli ultimi tempi.

Non che ci si potesse aspettare un sia pur vago profumo di Casablanca (1942), per l’occasione citato a più non posso dal colto e dall’inclito; o nulla di paragonabile al fascino e all’intensità di altri romantic war drama , Il ponte di Waterloo (1940) e Prigionieri del passato (1942), entrambi realizzati da Mervyn LeRoy. Ma altra cosa è trovarsi davanti a un manufatto così prevedibile e fiacco, dove nessuno appare convinto di quello che sta facendo.

Non parliamo di Brad Pitt, a cui sta succedendo il contrario di tutti gli altri beaux, ai quali i segni del tempo danno comunque un’espressione. Purtroppo qui i segni del tempo si sentono nell’amato Zemeckis, a partire dalle scelte: mai in passato, credo, il regista di Forrest Gump si sarebbe sognato di accettare una storiella così trita, con poca azione e dialoghi del tipo “Domani noi due faremo la storia”, detto da Lui, agente inglese (che si rivelerà di rara sventatezza), a Lei, agente delle resistenza francese a Casablanca e sua futura amante e moglie, mentre preparano insieme un attentato all’ambasciatore nazista, da eseguire durante un ricevimento all’ambasciata tedesca – una situazione in effetti ideale, specialmente per fuggire!

Se poi questo volesse essere un omaggio, con tanto di finale ancora più amaro, anzi tragico, di Casablanca, ebbene, abbasso gli omaggi, soprattutto se così insulsi. L’omaggio è un terreno scivoloso, e ci si deve saper muovere, credo, attenendosi alle regole ma con libertà e inventiva, con un autentico amore per il passato e uno spirito vitale che qui non fa neanche capolino.

Se la vicenda pensata per Brad Pitt (e per la povera Cotillard, che meriterebbe di meglio ma potrebbe anche scegliere meglio i suoi film) è vecchia e fiacca, quella escogitata per Will Smith con Collateral Beauty è all’insegna del mai visto. Il simpatico Will questa volta è Howard, un pubblicitario di successo che, quando gli muore la figlia, si chiude totalmente al mondo esterno, destando la preoccupazione dei suoi soci in affari sia a livello personale che per il destino dell’azienda comune.

Howard esce di casa solo per imbucare, in giorni diversi, tre lettere che, intercettate dalla detective assoldata dai soci, si rivelano indirizzate all’Amore, alla Morte e al Tempo. I soci però hanno una pensata perfino più originale: in un teatrino off-off-Broadway pescano tre attori senza capitali e senza idee che stanno lì sottoterra cercando di compicciare non si sa bene che cosa, e in un baleno li ingaggiano per incontrare Howard impersonando Amore Tempo e Morte, come se avessero veramente ricevuto le lettere del poveretto. Che in effetti sarebbe proprio da ricovero, perché ci casca. E intanto si avvicina a un gruppo di sostegno per genitori che hanno perso i figli, gruppo gestito da una bella giovane donna la cui piacevole tonalità di carnagione si sposa perfettamente, guarda caso, a quella di Howard-Will Smith. Il quale però è troppo traumatizzato anche solo per pronunciare il nome della figlia. Ma lei è molto dolce e paziente, e sa come avvicinarlo… A questo punto, tenendo conto di un abbondante fluire di sciroppo, dovrebbe esser facile indovinare cosa succede fra i due la vigilia di Natale e chi è veramente lei, ovvero “come finisce” :  anche perché le storie personali dei tre soci e dei tre attori disoccupati, diversamente da quella di Howard, sono già tutte in catalogo: la donna sui quaranta senza figli in cerca di uno spermatozoo (una comparsata di Kate Winslet), il malato terminale che non ha ancora detto niente alla pur amorevole moglie, il padre divorziato (in quanto accusato di libertinaggio!) che ha perso l’affetto della figlia, antipaticissima ma solo sulle prime – e qui davvero si rimpiange il cinema del passato, dove un W.C. Fields a una bambina del genere avrebbe rifilato uno scappellotto o, secondo il caso, una bella pedata.

Di un centone come questo, così lambiccato e spudorato, non varrebbe nemmeno la pena di parlare se non ci fosse un dato su cui riflettere. Collateral Beauty è un fiasco in tutto il mondo ma un successone in Italia. Soprattutto il pubblico giovane, o young-adult (una definizione di mercato da brividi), ne è stato attratto come dal miele. Le spiegazioni potrebbero essere tante, e tutte ugualmente sconfortanti. Meglio lasciar perdere.

Will Smith in Collateral Beauty

Will Smith in Collateral Beauty

Brad Pitt in Allied

Brad Pitt in Allied

 

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